Il titolo del concerto ci offre la possibilità di rileggere quella forma musicale della serenata che era nata per intrattenere. Infatti in origine era un brano vocale di provenienza popolare eseguito all’imbrunire per attirare le lusinghe della donna amata. Il tema della serenata, come fu presentata nella Commedia pe’ mmuseca e nell’Operà comique, ha dato l’imput per questo concerto. Il teatro musicale settecentesco, nei suoi generi buffi, offre autentici spaccati di vita dell’epoca, riproducendo situazioni e sonorità che poteva essere comune incontrare nelle strade di Napoli e Parigi. Anche l’utilizzo di strumenti come il mandolino ed il calascione contribuisce a ricostruire un paesaggio sonoro che per l’ascoltatore di oggi come di allora evoca scenari molto realistici.

Napoli, in quanto capitale di un regno che seppe costituirsi faro della cultura in Europa, ebbe spesso funzione catalizzatrice rispetto alle sensibilità che furono espresse da tutto il territorio amministrato. I recenti studi, tutt’ora in progres, stanno offrendo giustizia a tutti i musicisti regnicoli capaci di recepire ciò che accadeva nella capitale e, a volte, di offrire nuovi spunti di innovazione nonostante fossero collocati geograficamente in aree di provincia. Così per i musicisti lucani – ai quali guardano i componenti dell’ensemble Accademia di S. Rocco – al pari di quelli pugliesi e di ogni altro territorio del Regno, hanno spesso ricoperto ruoli di prestigio nelle istituzioni musicali napoletane, arrivando a svolgere carriere sfolgoranti anche in altri paesi, come fu il caso del materano Egidio Romualdo Duni. Ma altri hanno segnato la storia della musica come Carlo Gesualdo da Venosa (PZ), Giovanni Maria Trabaci da Irsina (MT), Gregorio Strozzi da San Severino (PZ), Marc’Antonio Mazzone da Miglionico (MT), Attanasio da Pisticci (MT), Diego Capuano che muore a Matera, Carlo Cecere da Grottole (MT) e così via.

Mauro Squillante

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