La sera del 13 maggio del 1725 a Napoli al San Bartolomeo venne rappresentata Zenobia in Palmira, Dramma per musica su libretto di Apostolo Zeno con musica di Leonardo Leo. Il dedicatario è il cardinale Michele Federico D’Althann, vicerè e luogotenente del regno. L’unico manoscritto conosciuto è conservato presso la Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella (I-Nc Rari 7.3.9.). Malgrado l’indubbia importanza dell’opera non è stata oggetto fino ad ora di studi o di monografie, eccetto la pubblicazione nel 2009 dell’overture (Leonardo Leo, Zenobia in Palmira Overture, Edizioni Mario Bolognani, Roma 2009), e le scene buffe Elisa e Tullio, presentate durante il Barocco Festival – Leonardo Leo del 2013. Una ripresa, diremo televisiva, in forma di concerto, fu offerta nella XVIII edizione, ma l’importanza dell’opera ci ha spinto ad una esecuzione in forma scenica. Scritto a due mani, da Apostolo Zeno e Pietro Pariati con successivi adattamenti di Silvio Stampiglia, questo libretto fu la prima opera che Zeno spedì a Barcellona all’Arciduca Carlo d’Austria dopo essere stato acclamato nel 1703 col titolo di Carlo III di Spagna, e venne messa in scena il 28 novembre del 1708 nel Teatro Regio di Barcellona, con musica di Fortunato Chelleri. Prima di giungere all’opera musicata nel 1725 ricordiamo che dal 1714, Leonardo Leo iniziò a musicare libretti di stampo arcadico, soprattutto per il teatro di S. Bartolomeo (Il Pisistrato – D. Lalli, 1714, Sofonisba – F. Silvani, 1718 e Cajo Gracco – S. Stampiglia, 1720). Queste opere avendo per interprete di spicco il celebre soprano Marianna Benti Bulgarelli, furono molto apprezzate e replicate a palazzo vicereale. Il 13 maggio 1725 ebbe fra i suoi interpreti il contralto Diana Vico nel ruolo di Odenato, il soprano Anna Maria Strada detta la Stradina nel ruolo di Aspasia, il tenore Francesco Costanzi nel ruolo di Farnace, il contralto Vittoria Tesi nel ruolo di Zenobia e il giovane sopranista Carlo Broschi detto Farinelli nel ruolo del generale Decio il quale certamente contribuì alla fortuna Zenobia in Palmira. Le scene buffe di Tullio ed Elisa furono affidate rispettivamente al celeberrimo basso buffo il bolognese Gioacchino Corrado e al mezzo soprano Celeste Resse entrambi virtuosi della Real Cappella, artisti bravi e navigati, stabilmente in scena al San Bartolomeo.

LIBRETTO D'OPERA

ZENOBIA IN PALMIRA
Opera in tre atti
Libretto di Apostolo Zeno
Musica di Leonardo Leo
Prima rappresentazione 13 maggio del 1725
Napoli, Teatro San Bartolomeo
Prima rappresentazione in tempi moderni

Personaggi ed interpreti

ZENOBIA Reut Ventorero mezzo soprano ‭‬
FARNACE Joan Francesc Folqué Giménez tenore
ODENATO Antonella Carpenito soprano ‬
ASPASIA Valeria La Grotta soprano
DECIO Lucia Conte soprano

Orchestra barocca
LA CONFRATERNITA DE’ MUSICI
Cosimo Prontera direzione al cembalo

Raffaele Tiseo violino principale
Valerio Latartara, Antonella Piscitelli, Angelo Basile violini primi
Federico Valerio, Giovanni Rota, Chiara Di Giorgio violini secondi
Pasquale Lepore, Eduardo Caiazza viola
Giuseppe Grassi, Pierluigi Marotta violoncelli
Maurizio Ria contrabbasso
Guido Mandaglio fagotto
Giuseppe Petrella tiorba

Regia, scene e costumi Antonio Smaldone
Assistente di regia Michele Balistreri
Light designer Paolo Vitale

Trascrizione e revisione musicale Cosimo Prontera
Adattamento testuale Agata Bienkowska

La scrittura di Zeno è caratterizzata da una grande raffinatezza ma anche di sobrietà secondo i principi arcaici, percorso che si compirà pienamente con Metastasio. Una particolare caratteristica che emerge nell’opera Zenobia in Palmira è un continuo gioco retorico con ripetute similitudini. Si veda l’aria di Decio che recita: Qual con l’aura in mezzo al prato scherza il fiore innamorato, il mio cor fra le sue pene col suo bene scherzerà, oppure l’aria di Farnace: Sento già che nel furore il mio core par quell’onda furibonda quando freme irato il mar. Dal punto di vista musicale la Zenobia in Palmira è considerata dagli studiosi di Leo un’opera di transizione, che porta in se i segni di un mutamento stilistico che è in progress: emancipazione dagli stilemi tardo barocchi verso la strada del rinnovamento galante.

Siamo negli anni 20 con un Leo legato a quella formazione strutturata secondo i dettami “antichi” e contrappuntistici ma ciò nonostante è innegabile l’efficacia bellezza delle linee melodiche e la bella mostra dei virtuosismi – mai fini a se stessi –, valori tipicamente italiani e napoletani. Sua prerogativa è dunque quella di combinare struttura musicale complessa e una linea vocale accattivante nel pieno intento di valorizzare la vocalità nel senso melodico immersa in una scrittura orchestrale ben articolata. Leonardo Leo fu uno dei compositori di un “ciclo aureo” che comincia con il 1701 e termina nel 1750. Come asserisce Stefano Arteaga: Tra i primi autori di si felice rivoluzione debbono annoverarsi Alessandro Scarlatti e Leonardo Leo napoletani, nelle composizioni de’ quali incominciarono le arie a vestirsi di convenevol grazia, e melodia, e fornite si veggono d’accompagnamenti più copiosi e brillanti. Il loro andamento è più spiritoso, e più vivo che non soleva essere per lo passato: donde spicca maggiormente il divario tra il recitativo, e il canto propriamente detto. Le note però, e gli ornamenti sono distribuiti con sobrietà in maniera, che senza toglier niente alla vaghezza dell’aria, non rimane questa sfigurata dal soverchio ingombro. Le sue arie in questa opera sembrano volere superare alcuni steccati teatrali votati a quegli elementi che “la moda” imponeva, o come imponeva un libretto di argomento storico-eroico, utilizzando la musica come appagamento del bisogno del personaggio di esprimere i propri sentimenti con semplicità ma anche dando la giusta elevazione, un carattere di maestà consona ad un dramma.

Questa stessa caratteristica venne sottolineata anche dal Bertini (Bertini Giuseppe, Dizionario storico-critico degli scrittori di musica…, Tomo III, Palermo 1815, Tipografia Reale di Guerra, pag.19) … il distintivo carattere di questo gran maestro fu il grandioso, il sublime unito però ad una naturalezza e un’encomiabile chiarezza di stile.

Lo stile del Leo, nobile ma anche patetico e dolce, procura ricchezza di affetti nell’ascoltatore e la Zenobia in Palmira è una delle sue composizioni drammatiche più riuscite, in particolare il quartetto Dai tuoi begli occhi arcieri (Atto II, scena 10) è, secondo i musicologi, degno di grande ammirazione, per la forma, il dialogo tra le parti ed unisce chiarezza e precisione delle frasi alla semplicità di espressione.