
Mentre in Europa, per la musica
sacra, imperava il modello romano
caratterizzato dallo stile ‘a cappella’,
a Venezia le voci si incrociavano al suono degli
strumenti: organi, violini, viole, celli, cornetti,
tromboni, fagotti, dulciane, bombarde e altro
ancora, il cui suono e la ricchezza timbrica
aumentavano il fasto tanto di momenti religiosi,
quanto di eventi della vita cittadina e della
Serenissima Repubblica. Nel Cinquecento Venezia
era il cuore pulsante dell’economia subalpina,
la sua influenza politica si estendeva a Nord, a
Sud e a Est. La sua basilica – San Marco – era
motivo di richiamo ed esempio e non fu un caso
se, tra i maestri della musica nella ‘cappella del
Doge’, furono chiamati a succedersi personaggi
del calibro di Willaert, Cipriano de Rore, Zarlino,
Monteverdi, Cavalli, Legrenzi, Andrea e Giovanni
Gabrieli. Se tutto questo fu possibile è certo
perché i custodi gelosi del patrimonio musicale
e liturgico furono i Dogi in prima persona, ai
quali facevano capo, diversamente che altrove,
le autorità ecclesiastiche e i Procuratori che si
occupavano del governo della basilica. In tutti
loro era viva la coscienza di un patrimonio da
salvaguardare, un patrimonio vivo e ricco già in
epoca altomedievale e che nelle epoche successive
si arricchì ulteriormente, unendo alle consuetudini
della pratica dei riti di San Marco quelle della
Curia Romana.
Alla Scuola Veneziana si devono più di una
importante innovazione musicale. Tra le più
notevoli vi è certamente l’approfondimento della
policoralità che sfociò nei famosi cori spezzati,
in seguito accompagnati e sostenuti dal basso
seguente, poi basso continuo per l’organo. Voci
e strumenti coesistono in maniera paritaria nel
Seicento: il repertorio strumentale si evolve
emancipandosi completamente da quello vocale,
sfociando in un vero florilegio di genere.
ENSEMBLE 8VOX
Pierfrancesco Pelà, Regina Yugovich violino
Sara Campobasso, Ninon Dusollier flauto a becco
Natalia Durante, Leoluca De Miceli viola
Carlo Maria Paulesu, Leonardo Gatti cello
Cosimo Prontera organo
Lorenzo Ghirlanda direzione

PROGRAMMA
Marco Facoli (1540 ca – 1585)
Napolitana
da Il Secondo Libro d’Intavolatura di Balli d’Arpichordo,
[…] Venetia, 1588
Giovanni Gabrieli (1554 – 1612)
Canzon septimi toni a 8
Girolamo Frescobaldi (1583 – 1643)
Capriccio sopra la Girolmeta
dal primo libro delle toccate, canzoni […] 1637
Biagio Marini (1587-1663)
Sonata sopra la Monica
Tarquinio Merula (ca.1590 – 1665)
Capriccio
Giovanni Gabrieli
Canzon septimi toni a 8
Canzon noni toni a 8
Giovanni Salvatore (1611 – 1688 ca)
Canzon francese IV sopra il ballo della bergamasca
Andrea Falconieri (1585/6 – 1656)
L’Eroica a 3
Giovanni Gabrieli
Canzon primi toni a 8
La musica che si produceva sotto le cupole
napoletane nel XVII secolo aveva fissato lo sguardo
al contrappuntismo che i grandi compositori
fiamminghi avevano portato a Napoli in quella
che oggi chiameremo ‘emigrazione economica’. Un
nome per tutti Giann De Maque.
Contestualmente era ancora pulsante l’esperienza
madrigalistica e contrappuntistica di quel cenacolo
di eruditi musicali, e non solo, che va sotto il
nome de ‘la cerchia di Gesualdo’.
Il grande Carlo Gesualdo principe di Venosa si era
attorniato di grandissimi musicisti e compositori
ma anche di letterati come Torquato Tasso
‘paroliere’ di sui molti madrigali.
I maggiori mecenati della capitale – esautorati
quasi tutti i nobili per il loro atteggiamento
antispagnolo – erano gli ecclesiastici, e soprattutto
gli arcivescovi. Le istituzioni musicali legate al
sacro erano infatti innumerevoli: nella Napoli
del Seicento si contano 500 chiese e conventi,
e quasi il dieci per cento dei quattrocentomila
abitanti erano religiosi. All’inizio del secolo la
città aveva dieci santi protettori, alla fine erano
una quarantina. Tra le feste religiose un grande
spazio era dedicato ai santi patroni, tra i quali
il più importante era San Gennaro, che da solo
aveva tre feste durante l’anno. Con un terreno così
prospero il consumo del sacro produsse una vera
e propria economia a cui i compositori e musicisti
non si sottrassero. È emblematico che tutti i
musicisti ambivano a ritagliarsi un ruolo, se pur
piccolo, nella cappella vicereale (che aveva lo status
di Cappella Reale di Spagna) perché questo gli
avrebbe dato un passaporto sicuro per una buona
vita professionale.
Giovanni Conti